Risposta alla lettera di Francesco Principe
Carissimo Francesco,
Ti domandi se scrittori si diventa per scelta o per congenita propensione. Me lo sono chiesto molte volte, ma non ho nessuna risposta, trovo solo che la domanda alimenti un baco nel cervello. Ribalterei la questione dallo scrittore all’oggetto scritto. È l’opera letteraria che sa di esserlo ancora prima di materializzarsi.
A differenza dell’altra materia organica, la cellulosa, se drogata di inchiostri — pigmentati, ad acqua o antiche misture di vetriolo, galla d’Istria, vino gagliardo, rosso di bacche spremute —, per magia, può diventare l’unica materia in questo mondo ad emettere luce senza decomporsi. Sa di esserci perché esiste nel pozzo nero delle possibilità da sempre, che non è un pozzo di Idee, ma rumore bianco, zuppa informe da cui i modesti maniscalchi, chiamiamoli scrittori se pur ci piace, si affaccendano per distillarne una forma terrena.
Trovami un’opera letteraria (d’arte) e io avrò trovato uno scrittore, algoritmo che sa di inutile tautologia, ma è il meglio che so darti. Può darsi che la suprema Necessità abbia destinato a questo o a quell’uomo di condensare tal o tal’altra altra opera, nel qual caso la tua domanda avrebbe una risposta affermativa. Dò peso solo all’opera e non allo scrittore. Qualcuno mette in dubbio che Shakespeare sia mai esistito. Ma che importa? Esiste la sua opera e ciò rende piuttosto inutile il suo creatore. Il grande umorista francese Alphonse Allais scrisse che Shakespeare non è mai esistito, tutte le sue opere sono state scritte da uno sconosciuto che aveva il suo stesso nome: una burla che suona di chiodo messo sulla cassa dello scrittore. Addirittura Socrate, che non ha scritto nulla, ma ha fabbricato il pensiero inoculandolo nella penna di Platone, con risultati filosofici ma anche drammaturgici, letterari di prim’ordine, ha reso inutile la sua esistenza, ma essenziale la sua opera.
Scrittore è quindi colui che riesce a rendere inutile, o forse, ancora meglio, totalmente superflua (e superfluente), la sua esistenza. Certamente sapere della vita dello scrittore, della sua collocazione nella storia è utile allo spirito e dà stipendio a professori e critici e tutta la catena alimentare conseguente, ma l’opera non ha bisogno del suo autore come lo stronzo non ha bisogno del culo per esistere (esiste già prima di uscire). Questo bisogno ce l’ha solo l’uomo. Come diceva Valery, l’autore non ha nessun privilegio rispetto a qualsiasi lettore, una volta che la sua opera è stata pubblicata; anzi, diventa anch’egli lettore (di sé stesso). Interessarsi troppo agli scrittori e poco alle opere porta, poi, a dei curiosi/assurdi risultati. Prendi la moneta da due euro, che come sappiamo rappresenta Dante di profilo. Di tutte le cose buone che ha fatto Dante, cosa hanno messo in evidenza? Il suo orribile naso. Bastava un verso, anche mezzo verso, invece hanno messo quella faccia di cazzo.
Concludo, per alleggerire un po’ il tono, con un divertissement, che spero apprezzerai:
I parte
— Chi è uno scrittore?
— Bella domanda. Si potrebbe dire che uno scrittore è un tizio che ha pubblicato con una casa editrice buona.
— Tipo Rizzoli?
— Sì, Rizzoli va benissimo.
— E se ti dico che Salvini ha pubblicato con Rizzoli che mi dici?
— Che dobbiamo cambiare definizione di scrittore.
—Mmh, vediamo che dice il dizionario. Sbbb… Sco… Scritt… ore, ecco: “Chi si dedica all’attività letteraria in quanto mosso da un intendimento d’arte”. —Va meglio, ma come fai a dire di essere uno scrittore secondo questa definizione? Ci vorrebbe uno strumento di misura per capirlo.
—Tipo facendo l’emocromo potrebbe risultare? O ci sarà qualche particolare marker…
— Potrebbe essere, sì.
— Mah, secondo me c’è una definizione migliore.
— Sono tutto orecchi.
— Uno scrittore per diventare scrittore deve prima crepare. Questo è il primo passo.
— Ah, sarà per questo che parecchi scrittori si sono suicidati. Per fare prima. Tanto non c’è una pensione per Scrittori.
II parte
Definizione di “scrittore” e di “lettore”
scrittori ‹scrit·tó·ri› s.m. (f. -trìci) La maggior parte del genere italico, i pochi che restano sono detti lettori. V. lettori.
ETIMOLOGIA Incerta. DATA sec. XIV.
Supporti iconografici
lettori ‹let·tó·ri› s.m. (f. -trìci) 1 La minima parte del genere umano, tutti quelli che restano sono detti scrittori. V. scrittori. 2 Disus., specialista in tenzoni amorose, dormiglione cronico.
ETIMOLOGIA Da letto e re. DATA sec. XIV.
Con grande stima,
Pietropaolo Morrone