La totale infondatezza della chiacchiera non è un impedimento per la sua diffusione pubblica ma un fattore determinante. La chiacchiera è la possibilità di comprendere tutto senza alcuna appropriazione preliminare della cosa da comprendere. La chiacchiera garantisce già in partenza dal pericolo di fallire in questa appropriazione. La chiacchiera, che è alla portata di tutti, non solo esime da una comprensione autentica, ma diffonde una comprensione indifferente, per la quale non esiste più nulla di incerto.
Martin Heidegger, Essere e Tempo
Solo l’erotismo ha il potere, nel silenzio della trasgressione, d’introdurre gli amanti in quel vuoto in cui il balbettare stesso è sospeso, in cui non c’è più parola concepibile, in cui l’amplesso non significa più solo l’altro, ma l’assenza di fondo e di limiti dell’universo. L’amore puro, al contrario, è limitato alla chiacchiera.
Georges Bataille
Prima, i rumori.
Un brusio ordinato, poi metallo su ceramica, un gorgoglio proprio davanti a me.
Poi ritorna la vista e ricompare il mondo.
Mi trovo nel ristorante.
Ora di pranzo.
Sara è seduta davanti a me.
Stavamo discutendo della gestione di nostro figlio prima del blackout.
Sara era mia moglie.
Sara è sempre disattenta.
Quando mangia, lascia briciole dappertutto. Non c’entra mai il bicchiere al primo colpo quando si versa dell’acqua.
Non so perché l’ho sposata e ci ho pure fatto un figlio. Forse mi ero distratto anche io.
Per lei sembra che nulla sia cambiato.
Distratta e superficiale.
A cosa starà pensando ora? Di sicuro, non a nostro figlio. Sono sempre io che alla fine gestisco e programmo i turni genitoriali. Lei pensa ad altro, non ha il senso della realtà.
Sara vive altrove e non si è accorta nemmeno stavolta del mio blackout, del mio momento. È così che chiamo questa cecità improvvisa che si accompagna all’ottundimento di tutti i sensi.
Il mio momento.
Non so di cosa si tratta.
Non voglio andare dal medico, ho paura della diagnosi. Già lo immagino, sarà colpa di un tumore al cervello o forse è l’inizio di un ictus. No, non voglio sapere di quale terribile male morirò, di cosa sto morendo ora.
Mi basterebbe sapere perché Sara non la smette di masticare con la bocca aperta, Cristo!
Glielo dico a denti stretti, “Smettila, perdio!”, ma lei non mi sente (fa finta, ne sono sicuro) e mi chiede “Cosa?”, aprendo di più la bocca, lasciando cadere altri pezzi di cibo sulla tovaglia, sulle sue gambe.
“Sembri una bambina”, le dico con odio. Ma lei ancora non capisce, e ride.
Fa sempre così.
Sara ha quasi cinquant’anni ma è rimasta la bambina stupida di sempre.
Nostro figlio ha dieci anni ma in confronto a lei è molto più maturo.
Dylan. Sara ha voluto che lo chiamassimo Dylan, come quello della tv, non so nemmeno chi.
A Sara non posso parlare dei miei momenti di vuoto; mi mostrerebbe più attenzione nostro figlio che lei, stupida gallina dalle tette enormi. Ecco perché l’ho sposata, per avere sotto le mani le sue tette gonfie e strizzarle fino a farle male.
Poi sono rinsavito e l’ho lasciata. Perché non sono ancora così pazzo.
“Ti vedi con qualche sciacquetta?”, mi chiede la stupida, biascicando le parole tra una risatina e una masticata.
Le dico di no.
Le vorrei dire che alle donne non ci penso, perché sto male e non ho il tempo né la voglia di stare dietro a storie sentimentali.
Penso che, se solo avessi coraggio, prenderei la forchetta che sta sul piatto e gliela ficcherei in quella fottuta gola da oca demente. Ma lei trasformerebbe una tragedia in una commedia grottesca.
Ho tradito Sara non perché volessi farle del male, ma perché lei era incapace di farmi del bene, di considerarmi come un essere vivente. Siamo stati per lunghi anni vicini come manichini, e ce ne beavamo.
Ho tradito Sara e so che lei ha fatto lo stesso, ma il suo tradimento, per una qualche ragione che solo la sua mente ha elaborato, non può essere considerato tale. Quando si mise a spiegarmelo la lasciai ciarlare come faceva sempre.
Chiacchiere, solo chiacchiere. Ecco cos’è l’amore.
Poi ricordo quello che dovevo chiederle, “Ma nostro figlio? Oggi era il tuo turno, dove l’hai lasciato?”.
“Che t’allarmi! È da mia madre, ci pensa lei a tenerlo. Io sono stanca”, dice ridacchiando.
Stanca di cosa?, penso, se passa le giornate sdraiata sul divano a scrollare lo smartphone come un’adolescente qualsiasi.
Il mio cuore batte così forte dalla rabbia che comincio a sudare.
Ripenso al nostro ultimo litigio, alle urla e gli schiaffi e il pugno che mi ha dato quella volta, dritto sulla mandibola e alla mia incapacità di reagire.
Fu quella la prima volta del mio momento; quando mi ripresi, lei era andata via.
Sento che avrò un altro attacco.
Cado nel buio.
Si accende una luce.
Un rumore bianco.
Sono sdraiato su un divano.
Sono a casa mia.
Il rumore bianco è quello del frigorifero.
Chiedo se c’è qualcuno.
Nessuno risponde.
Non vedo nessuno.
Qualcuno mi ha portato a casa, forse Sara.
Mi alzo e giro per le stanze.
Sì, è casa mia, ma c’è qualcosa che non mi torna: è casa mia, è la mia cucina, il mio salotto, il corridoio, la porta d’ingresso.
Entro in bagno ed è tutto come sempre.
Anche la camera da letto, con le lenzuola sfatte, come sempre.
Sento crescere il terrore.
La madre di Sara ha avuto un malore mentre badava a Dylan. L’ha avuto mentre io e Sara eravamo a pranzo.
Dylan ha chiamato il 118. È andato con lei all’ospedale, in ambulanza.
La madre di Sara è morta mentre io mi riprendevo dal mio blackout.
Giravo per casa e mi sentivo vivere in un’altra dimensione.
La mia vita, le mie relazioni sembravano essere passati di striscio, come se li avessi schivati uno, due, tre volte, ma alla fine mi avessero colpito sui denti, con furia, un pugno di rabbia, punitivo.
Dylan ha telefonato a sua madre per dirle dove si trovavano. Sara ha chiamato me per dirmi di sua madre. Mi ha detto “È morta”. Nella sua voce non c’era nulla, né dolore né compassione.
Come nella mia.
Ho capito che non m’importava nulla di Sara, di sua madre, di mio figlio.
Ho immaginato tutti noi come polvere sulla strada, residui spazzati dalla bufera, inutili e potenzialmente pericolosi.
Al funerale, mi hanno detto che Dylan ha pianto.
Io ero con Sara, nel letto. Lei ha preferito non andare al funerale. Diceva fosse troppo doloroso da affrontare, ma io so che voleva solo scopare.
Allora abbiamo scopato.
(c) 2022 Giovanni Canadè