Nudo, lucido come le tue labbra incapaci di seccarsi, pure nella solitudine, da cui soffiano tempeste d’altoforno, rotolo giù per la valle infinita. Rimbalzo tra sassi, tamburi in sordina, incastonati dove sanno, spigoli esatti, che ridanno alle ossa una forma più giusta. Annaspo nella zuppa di cielo e di terra tra bave di clorofilla sulla pelle lucida di sudore. Spine di legno fanno buchi troppo piccoli per sfiatare il male. Un pugno di denti si fanno semi: saranno sassi un giorno. Le ossa, zucchero a velo nel mio sacco di pelle, mischiate al sangue, bagnano la crosta della terra. Un trancio di budella si fa sciarpa per un sasso troppo nudo.
Rotolo sempre più leggero, al tuo soffio d’altoforno e al richiamo della terra, mentre il pendio è sempre più ricco del mio corpo. E alla fine di me non resta che un pensiero, o due, giroscopici grumi inscindibili, sterili, incapaci di dipingere sassi aguzzi. Se fossero generosi come il mio corpo! Troppo piccoli per morire, troppo grandi per vivere.
Mi faccio sasso, mi faccio erba, mi faccio terra, divento tutto, ma anche niente.