Spillavano indifferenza scura i tuoi occhi da dipendente
mentre in strada le mamme annunciavano malasorte
ai figli senza più colletti da trattenere:
per mille anni ho appoggiato la mia noia
su quel legno rigato e appiccicoso
ma il cielo grondava sangue alla vaniglia,
il telefono era occupato e tu non mi cercavi mai.
Crocidii vicini e spari lontani, intrecciati nell’etere in filodiffusione,
sentenziavano l’esecuzione del cadavere di Shostakovich:
al funerale Pedro ‘El Loco’ schiaffeggiava
le chiappe d’una caraibica tutta seno e insicurezza.
E Cosenza era una giungla e il tuo cuore un corvo d’argento!
M’hai preso con te come il potere prende i rivoluzionari,
con gli occhi dietro la nuca e un morsetto di contegno inforcato per paura.
Ettolitri di profumo hanno sfrattato l’acqua dai mari
e io non so più dove passare le estati.
Dentro a un vento giallo piscio, dietro a un tavolo di corallo
il sole s’arrendeva all’ombra carlinghe e tu
condannavi la lametta per la sua sincerità.
Strepitano il fascino e la crosta terrestre sotto boschi di peli:
Gagarin e Rodolfo Valentino si consolano
piangendo vodka a Beverly Hills.
T’ho rifilato il mio amore dentro a un gattino di vetro:
all’anagrafelina Pedro, ma lo chiamavi ‘El Micio’.
Te lo portavi sempre nella borsetta,
costretto tra le Chesterfield e il rancore.
Che potevo fare io? Ho dovuto ucciderlo.
Miagolava in spagnolo e mi ricordava di noi.
Piovono brandelli di Siria sui nostri crani affaccendati:
stanotte ho sognato ‘El Micio’ rimproverarmi la vita,
aveva un kalashnikov e un gelato serrati tra le zampe.
Da giorni stringevo nella tasca un pugno
di patatine da friggere con te nell’olio del mare:
adesso puzzano di carogna come le liane nella nostra città.
Sei tornata a trincerarti dietro il bancone e
stavolta credo sia per sempre: davvero! non volevo finisse così.
Cistifellico e inchiodato alla tivvù
guardo aerei di marzapane
ballare il reggaeton nei cieli di Aleppo.