Caro Nulla,
ti ammiro, ti ammiro profondamente. Sei come Dio, non hai bisogno di esistere per essere qualcosa. Tu sei il Nulla, la negazione di tutto, io sono un nulla, tu sei il pozzo nero dove il tutto si scioglie, io sono qualcosa, un’inezia, una quisquilia che si scioglie.
Ho cominciato a scrivere questa lettera decine di volte. Disegnavo un punto nero su questo foglio completamente bianco. Poi, lo guardavo. Chiedevo a Vincenzo, il mio coinquilino che cosa ci vedesse. «Un punto nero», diceva, «che cazzo ci dovrei vedere?». Non mi rendevo conto che era l’immenso bianco in cui era annegato quel puntino la cosa importante. Quel bianco sei tu, certe volte mi ripeto. Come avremmo potuto notarti subito io e quel miserabile di Vincenzo? Dopo averti visto, poi, non ho potuto fare a meno di scriverti. Rivolgermi a te mi fa pensare alle letterine che scrivevo a Babbo Natale, alle preghiere delle vecchie del mio paese alla domenica a messa. Ah, è vero, messa si dovrebbe scrivere con la emme maiuscola. Le lettere maiuscole servono per amplificare. È per questo che scrivo il mio nome e cognome in lettere minuscole. Visto da qualche metro di distanza, il nome e cognome diventano come due linee, due segmenti mono-dimensionali. Se mi allontano ancora spariscono del tutto. Diventano nulla, diventano te. Quindi il nulla può essere qualcosa, qualcosa che è distante, invisibile ai miei occhi miopi. Allora forse sei ciò che non riesco a vedere, anche ciò che non voglio vedere o che mi ostino a non vedere. Sei quell’immenso bianco che non vedevo e io il punto nero affogato dentro. Ma non devo soffrire per questo. Sto già imputridendo, le cellule si stanno ossidando mentre scrivo. E prima o poi morirò, sarò niente. Sarò il Nulla. Sarò io il nulla. Sarò te. Mio Dio, ho scritto questa lettera a me stesso.
Il Nulla