Confondere gli opali che m’offre
la tua mano menzognera e pietosa
con gli astri che, tra echi di cosmici
fragori, dentro me la genesi celebrano
di sacre sinfonie spazio-temporali
più non mi è dato: ignorare la fame,
la sete del mio essere palpitante
asciutto di vita mi ha lasciato lungo
il confine di mondi lontanissimi,
che di lambire più non è dato
alla mano mia inaridita e scarna.
E l’occhio è un vortice oscuro che
tra distorte traiettorie di luce,
deviata dalla gravità di un assurdo
Sole spento, ancora fruga,
che tra microscopiche polveri,
generate dal suicidio necessario
d’indifferenti supernovae,
ancora cerca gli esangui resti
degeneri del suo sogno collassato.