“Venezia è anche un sogno
di quelli che puoi comperare
però non ti puoi risvegliare con l’acqua alla gola
e un dolore al livello del mare”
(“Venezia” – Metropolis – F.Guccini, G.Alloisio, B.Biggi)
1989. Il Vento dell’Ovest, un poco polacco e molto americano, sospinge i grossi martelli dei berlinesi a travolgere l’Unione Sovietica, una volta per tutte. Nella lotta terrestre dei venti, il buran s’è arreso al chinook. Nell’altrettanto eterna lotta all’idiozia, l’ottusaggine da regime s’è arresa all’“anarchia dell’acqua”. Dalle macerie del muro di Berlino risorgono, vivi e poco impolverati, artisti e intellettuali banditi per decenni dalla memoria del popolo russo. Dai televisori quadrati, inondati di teatro propagandistico, riemergono in tanti. In troppi. Fra loro, Iosif Aleksandrovič Brodskij.
Nato nel 1940 da una famiglia ebrea, lascia la scuola appena quindicenne e, da autodidatta, comincia a pubblicare le sue poesie nel 1958. Processato e recluso per “parassitismo”, viene espulso dall’URSS nel 1972. Ad offrirgli accoglienza sono gli statunitensi, consegnatisi al ventesimo secolo come più subdoli dei russi, nel bene e nel male.
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