Testi:
- Misery (1987) S. King
- La metà oscura (The dark half, 1989), S. King
- Finestra segreta, giardino segreto (in Quattro dopo mezzanotte) 1990, S. King
- Jack non deve morire (Jack of Spades, 2015), Joyce Carol Oates
- Da una storia vera (D’après une historie vraie, 2015), Delphine De Vigan
Appendice:
- L’esordiente (2011), Raul Montanari
- L’inumano (2012), Massimiliano Parente
L’incontro proposto non si pone come esame critico dei testi, ma da spunto di riflessione sulla metafora del ruolo dello scrittore nell’odierna “società dello spettacolo” e del suo rapporto coi propri lettori-aguzzini.
Stephen King ha rappresentato e rappresenta uno dei pochi scrittori che ha narrato la paura e l’insostenibile tensione del quotidiano, dell’infanzia e del mondo adulto, senza tema di commistioni tra i linguaggi esclusivamente pop e quelli più “alti”: in King, infatti, è profonda l’influenza dei classici scrittori americani, da Hawthorne a Henry James, da William Somerset Maugham a Raymond Carver a Flannery O’Connor fino all’amatissima maestra di tensione Shirley Jackson. Ripetiamo, King non ha bisogno d’essere giustificato o nobilitato: lo storico snobismo critico verso l’autore più ricco e famoso del mondo viene a collidere contro la sua straordinaria produzione non solo quantitativa ma anche qualitativa.
Avremmo potuto analizzare molti degli svariati temi presenti nella sua produzione, ma ne avremmo ricavato materiale per più dʼun incontro. Da parte nostra, ripetiamo che il nostro approccio è del tutto improntato alla passione da lettori verso un grande narratore, unico e impossibile da replicare.
Spesso i protagonisti dei romanzi di Stephen King sono scrittori, a partire dal Jack Torrance di Shining del 1977. Scrittori in crisi: in pieno blocco dello scrittore, preda dei propri demoni interiori, in crisi esistenziale, in lotta con il proprio alter ego.
Abbiamo rivolto la nostra attenzione a tre titoli che lo stesso King – nell’introduzione a Finestra segreta, giardino segreto, racconto lungo incluso nella raccolta del 1990 Quattro dopo mezzanotte – ha considerato come una sorta di trilogia “sugli scrittori e la scrittura e quella strana terra di nessuno che esiste fra ciò che è reale e ciò che è frutto della fantasia”. Oltre al racconto appena citato, gli altri titoli presi in considerazione sono Misery (1987) e La metà oscura (1989).
I protagonisti di questi romanzi sono, appunto, scrittori in pericolo di vita. A minacciarli, in un caso, è la loro più grande ammiratrice: in Misery, infatti, Paul Sheldon, famoso scrittore di romanzi rosa da lui stesso odiati ma fonte di grande reddito, esce di strada con la sua auto durante una tempesta di neve. A salvargli la vita è un’infermiera, Annie Wilkes, donna imponente e pericolosa. Annie, “fan numero uno” di Sheldon e della saga di Misery Chastain, cura lo scrittore nella sua casa sperduta di campagna; non avverte i soccorsi e tiene Paul chiuso in una stanza, impossibilitato a muoversi a causa delle dolorose fratture multiple che l’infermiera cura con dosi massicce di Novril, medicinale a base di codeina che lo stordiscono per la maggior parte della giornata.
Paul, poco prima dell’incidente, aveva terminato il suo primo vero romanzo, Bolidi, una storia realista ambientata tra ragazzi di strada; ma Annie, “stupida lettrice” seriale, non accetta questa svolta, come non accetta la scoperta della morte del suo personaggio preferito, Misery nell’ultimo titolo della saga Il figlio di Misery. Annie, sempre più scopertamente psicotica, costringerà Paul a scrivere il ritorno della bella Misery, ma alle proprie condizioni. Lo scrittore seriale Paul Sheldon sarà letteralmente in mano al suo pubblico “di bocca buona”, lui stesso macchina da scrivere, senza identità, costretto a sfornare parole su parole. Ogni sbaglio verrà punito con amputazioni, fatto a pezzi non più metaforicamente. Paul, cosciente che dalle mani della psicopatica infermiera che in passato fu accusato d’aver ucciso numerosi pazienti, tra cui molti bambini, sa che non potrà uscirne vivo; allora diverrà lo Shahrazad di se stesso, scrivendo pagine su pagine per non morire. La conclusione però arriverà: Paul fingerà di distruggere Il ritorno di Misery come atto di rivolta e, nella colluttazione che ne seguirà riuscirà a ucciderla. L’epilogo vedrà un sopravvissuto Paul Sheldon dare alle stampe il frutto di quella prigionia che, anche sotto costrizione, sarà diventato un ottimo romanzo, il migliore della serie. A Paul verrà proposto di scrivere della sua avventura appena conclusa; ma scrivere di realtà, dopo quella terribile avventura, sarà troppo doloroso. Paul finirà preda di lunghi mesi di sconforto e dolore, fino a che, quasi per caso, un giorno si troverà a scrivere cinque righe, cinque righe di pura fantasia. Ecco che l’immaginazione, la finzione, è rinata. E l’unica reazione possibile sarà un lungo pianto liberatorio.
Nel 1989 King ritorna ancora sulla metafora dello scrittore e della sua controparte. Questa volta, prendendo spunto da alcuni eventi della sua biografia, King racconta la storia di uno scrittore costretto a rivelare il suo doppio letterario. Tad Beaumont, scrittore di romanzi “seri” di discreto successo accademico, ha scritto per anni romanzacci di inusitata crudezza sotto lo pseudonimo di Richard Stark. Al fine di evitare che uno studente di un suo corso di scrittura lo ricatti per non divulgare la notizia, Tad decide di fare la prima mossa e dichiararsi alla stampa. Questo segnerà la fine dei romanzi di Stark. Ma ecco che il suo alias prende realmente vita. La metafora si fa carne: Stark non vuole morire, Stark vuole continuare a vivere/scrivere. Ricordiamo che lo stesso capitò a King, che per anni scrisse sotto lo pseudonimo di Richard Bachman, ma venne scoperto e dovette rinunciare alla sua identità nascosta. Stark e Beaumont dovranno lottare affinché ne resti in vita uno solo. Lo Scrittore dovrà combattere contro se stesso, e in ogni caso ciò segnerà la morte di un pezzo importante della propria identità.
Identità frammentata anche nel racconto lungo Finestra segreta, giardino segreto, che vede in scena una delle grandi paure degli scrittori: l’accusa di plagio. In questo caso, Morton Rainey farà la conoscenza dello sconosciuto John Shooter. Morton si troverà coinvolto in una serie di eventi che lo colpiranno personalmente, ma di cui, si scoprirà, il vero responsabile sarà lo stesso Morton, personalità divisa in una parte pubblica e corretta e in quella psicotica di Shooter. La mente malata di Morton ha infatti creato questo personaggio fittizio. Morton sarà in pericolo e metterà in pericolo i suoi cari a causa del suo Io diviso, frammentato e sconosciuto. Forse un modo per punire se stesso e il suo successo?
I romanzi di cui abbiamo appena parlato hanno segnato dei punti fondamentali nell’immaginario comune, e la letteratura, il cinema e il fumetto non hanno fatto che riscriverli di continuo. Chiara e profonda è la metafora di King, realizzata col linguaggio del genere horror che riesce a far penetrare più a fondo il messaggio.
La ricetta funziona e in molti si cimentano con questi temi.
Un Io diviso, una mente che perde coscienza di se stessa e del proprio alter ego ritorna, ad esempio, in Jack deve morire di Joyce Carol Oates, un romanzo che cita esplicitamente Stephen King, arrivandone addirittura a riscrivere i temi de La metà oscura. Andrew J. Rush è uno scrittore rispettabile di gialli innocui, ben scritti e mai volgari. Rush ha creato un mondo mistery buonista e mai realmente disturbante. La sua fama è riconosciuta, ma Rush, rispettabile figura nella società letteraria, scrive sotto un’altra identità romanzi decisamente meno consolatori, bensì caratterizzati da scene crude e senza filtri. Il suo pseudonimo è Jack of spades e nessuno può ricondurlo a Rush. Nonostante questo, i numeri di vendite dei romanzi scritti da Jack of spades non sono mai alti quanto quelli di Stephen King. Lo stesso King, nel romanzo, lo tratta con freddezza. Rush/Jack non è il nuovo King/Bachman forse perché, a differenza di King, Rush si prende troppo sul serio; Rush non è capace di scindere la sua identità reale da quella fittizia del suo alter ego. È prigioniero dei suoi fantasmi, di un trauma infantile che lo segna dal profondo. Per questo motivo soccomberà, in un finale che lascerà il lettore in un grande dubbio: come lo Stark de La metà oscura anche Jack of spades sarà divenuto reale?
Il romanzo della Oates è un intelligentissimo gioco di citazioni, un romanzo metaletterario, stuzzicante e divertente. All’interno si trovano chiari omaggi a King, ai temi dei suoi romanzi, agli eventi comuni ai più famosi scrittori d’oltre oceano: la causa scatenante della capitolazione di Rush sarà l’accusa di plagio di una vecchia signora che ritiene d’essere stata derubata delle sue idee dai più grandi scrittori di best seller. E se la vecchia Haider stesse affermando la verità?
Ci spostiamo in Europa, in Francia, dove troviamo un romanzo d’autore che parte da King e, come nel caso del romanzo della Oates, riscrive a proprio modo una vicenda kinghiana. Parliamo di Da una storia vera, romanzo di Delphine De Vigan, sospeso tra finzione e autofiction. Ad aprire ogni sezione di questo romanzo sono proprio delle citazioni da Misery, a stabilire chiaramente il doveroso omaggio al Maestro di Bangor.
La storia è semplice: la protagonista, la scrittrice stessa, è provata dal grosso successo ottenuto con il suo precedente romanzo verità dedicato alla madre morta. Un romanzo che l’ha segnata particolarmente, tanto da farle perdere ogni volontà di rimettersi al lavoro su un nuovo progetto. Cosa scrivere dopo quella storia?, le domandano tutti e si domanda lei stessa. Continuare con la biografia, con la realtà, oppure ritornare alla fiction? In questo periodo di crisi, Delphine fa la conoscenza di L., una strana donna che le si presenta lentamente ma inesorabilmente come la sua “migliore amica”. Ecco che torna la “fan numero uno” di kinghiana memoria, la Annie Wilkies che vuole aiutarla a riprendersi. L. si presenta come una ghost writer, non lascia trasparire nulla della propria vita privata, ma è sempre presente per Delphine. S’impone come sua amica e confidente. La sua attenzione si pone soprattutto su ciò che Delphine intende scrivere dopo quel romanzo realtà. Come Annie, anche L. avrà i suoi monologhi sul cosa debba essere la scrittura, su cosa vuole il lettore, su come debba comportarsi lo scrittore. L’opera di seduzione di L. è infida e lenta; certamente L. non si presenta come la pazza infermiera kinghiana. L. si prende tutto il tempo che serve per divenire la migliore confidente della scrittrice, fino al punto di penetrare nella vita privata della donna e nelle sue insicurezze più intime. Delphine si accorgerà troppo tardi d’essere stata preda d’un animale sfuggente e pericoloso, tanto che Delphine lascerà che L. le prenda la propria identità, la escluda vieppiù dal mondo.
Ma L. è anche il John Shooter che alla fine del romanzo ancora non riusciamo a definire se sia esistita oppure no: la sua biografia, infatti, noterà Delphine, è solo una commistione di più romanzi messi assieme a costruire una storia personale al di fuori della banalità del quotidiano.
Scrivere della realtà o scrivere di pura finzione? Questa è la domanda fondamentale dell’intero romanzo, sospeso a sua volta tra la situazione reale della scrittrice reduce dal successo di Niente si oppone alla notte, biografia dolorosa della madre suicida e il dover ripartire da un nuovo punto per non fossilizzarsi nell’autofiction. Delphine de Vigan usa intelligentemente il gioco del doppio in questo romanzo dal ritmo lento ma inesorabile. I dèmoni dei romanzi kinghiani ci appartengono, sono archetipi che possiamo utilizzare rimodellandoli alla nostra situazione esistenziale. Delphine è costretta a confrontarsi con il proprio doppio, con il mondo editoriale che le impone altro dolore da sfruttare, col pubblico che non riesce ad accettare un libro ma vuole vampirizzare la vita stessa dell’autrice, farla propria senza alcuna pietà. Lo scrittore anche questa volta rischia la propria sanità mentale, la propria vita (L. tenterà di avvelenarla. Oppure no?). Anche alla fine di questa avventura, lo scrittore ne uscirà provato, debilitato, ma con la consapevolezza che solo la scrittura potrà proteggerlo dal mondo esterno e dai propri demoni interiori.
APPENDICE:
Per concludere, abbiamo scelto di nominare due romanzi italiani di pochi anni fa, L’esordiente di Raul Montanari e L’inumano di Massimiliano Parente. I due romanzi vedono entrambi protagonisti degli scrittori.
Nel romanzo di Montanari, il protagonista è uno scrittore di noir, insegnante di scrittura creativa, candidato a vincere il più prestigioso premio di scrittura italiano. Livio Aragona, questo il nome del protagonista, s’innamorerà di una delle sue allieve, una esordiente che lui considera una mediocre scrittrice ma che diverrà in breve la sua più pericolosa avversaria letteraria. La trama vedrà svilupparsi in un intrigo noir.
L’inumano vede protagonista lo scrittore stesso del romanzo, Massimiliano Parente. I punti in comune tra personaggio e scrittore sono molti, a cominciare dalla bibliografia e da molte riflessioni esistenziali. Il Parente personaggio è anch’esso in corsa per un prestigioso premio letterario italiano, costretto dal suo editore. Parente affronterà quel mondo mediocre in cui si sente costretto a vivere suo malgrado. Ma all’interno di questi eventi si palesano dei misteri, svelati in realtà in alcuni capitoli del libro scritti in corsivo, in cui Parente è rapito, legato e trattato come un animale e, ancor più di Paul Sheldon, sarà fatto a pezzi fisicamente: destino dell’autore o punizione autoinflittasi dallo scrittore stesso, essere a parte nel mondo degli umani tanto da definirsi inumano?
RIEPILOGO:
Con Misery e La metà oscura, King realizza la più chiara metafora del ruolo dello scrittore, superstar conteso tra i suoi fan idealizzanti e pertanto pericolosi per la vita stesso dell’autore; metafora che prende più forza col linguaggio dell’horror inventando una sorta di Dr. Jeckyl e Mr. Hyde di fine millennio. Il genere e il linguaggio di King hanno segnato l’immaginario mainstream universale, tanto che un’autrice affermata come la Oates non disdegna, coraggiosa come sempre nella sua carriera, di riscrivere e omaggiare il Maestro King, giocando con la metanarrativa in scioltezza e rispettando i tempi del mistery. Un’altra scrittrice “sofisticata”, la francese Delphine De Vigan, non cela le proprie intenzioni, risolvendo così, nel suo Da una storia vera, l’impasse di chi esce da un romanzo precedente che ha scosso il mondo editoriale e la sua vita personale, mettendo in gioco se stessa e, furbamente ma efficacemente, trovando la chiave di svolta pop ma ancora una volta d’autore per entrare e uscire disinvoltamente dall’affaire veritè.
Dopo tre autori stranieri, prendiamo in esempio due romanzi italiani, particolari per temi e scrittura nella società letteraria italiana: L’inumano di Parente, ultima tappa di un’autofiction iniziata anni prima con La macchinatrice e proseguita col bellissimo Contronatura, arriva alle estreme conseguenze in questo romanzo che mette in scena la fine dell’autore stesso, maciullato, fatto a pezzi dalla macchina culturale italiana, in un abisso di inumanità che deve lasciar posto alla pura materia per potersi annichilire. Da presupposti simili al romanzo di Parente nasce L’esordiente, romanzo di Raul Montanari, noir in cui uno scrittore soddisfatto di se stesso lotta per la vincita dell’importante premio letterario italiano, ma in crisi quando una sua alunna, pessima scrittrice, raccoglie il successo commerciale e gli apprezzamenti dell’ambiente culturale che lo scrittore stesso aveva sempre tenuto come guida nella propria vita.