Nelle colline, nelle città

Nelle colline, nelle città

Quello che segue è un capitolo espunto dal mio romanzo inedito, ancora incompiuto, dal titolo “La notte eterna. Un romanzo misoteistico.”
Per i temi trattati e i contenuti espliciti, si consiglia la lettura a un pubblico maturo.

Giovanni Canadè

*

“Ogni comunicazione partecipa del suicidio o del delitto. 
L’orrore funebre l’accompagna, il disgusto ne è il segno.
E il male appare – sotto questa luce – come una fonte di vita!
Rovinando in me stesso, negli altri, l’integrità dell’essere, mi apro alla comunione, posso giungere al culmine morale.
E il culmine non è subire, è volere il male. È accordo volontario col peccato, con il delitto, il male. Con un destino che richiede senza tregua che alcuni vivano, altri muoiano!”
(Georges Bataille) 

Il motivo per cui lasciai F* fu dovuto al fatto che la polizia era ormai sulle mie tracce riguardo al caso delle coppiette ammazzate sulle colline che circondavano la città.

I fatti erano questi: F* una bellissima città d’arte, emana un odore di marcio e di stalla, forse dovuto al fiume che l’attraversa (dai cittadini tuttavia invidiato), ma che in realtà è letteralmente una fogna a cielo aperto. Il puzzo di piscio e di merda non mi faceva più vivere. Per questo, avevo preso un appartamento sulle colline, lontano da quelle acque putrefatte, nella speranza che il puzzo arrivasse almeno attutito. Quelle erano zone frequentate da molte coppiette che salivano con le loro automobili e parcheggiavano tra gli alberi per fare l’amore in luoghi appartati. 

La sera, dopo aver finito il mio lavoro, uscivo per una passeggiata e spesso la curiosità mi spingeva ad avvicinarmi a quelle auto per spiarli. Siccome la prima volta mi andò più che bene (una coppia mi vide e volle che li guardassi e che mi masturbassi mentre scopavano), pensai di avere ulteriore fortuna la sera dopo, ma ciò non successe: il maschio della coppia, forse perché doveva dimostrare di tenere alla propria preda sessuale, una ragazzetta impaurita che si era rinchiusa a bozzolo appena mi vide, mi aggredì, prima verbalmente, poi uscendo dall’auto, mezzo nudo, cercando di prendermi a pugni. Io non mi lasciai impaurire e lo colpii con un sasso che avevo trovato a terra, vicino alla macchina.

Non fu difficile: il sasso spaccò il setto nasale dell’uomo e il sangue scorse copioso. Cadde a terra e gli diedi un ulteriore colpo di pietra diretto sul cranio. L’uomo perse i sensi. Cadde come, appunto, un sasso. 

La donna nell’auto gridava ma per poco, poiché entrai in auto e le spaccai i denti e la bocca sempre con lo stesso sasso col quale avevo atterrato il suo ragazzo. Mentre mugolava, le infilai una mano tra le gambe e, con mio stupore, scoprii che al ragazzo, nel girarsi di scatto quando mi aveva visto, si era sfilato il profilattico dal pene lasciandolo all’interno della vagina della ragazza. Risi teneramente per quella buffa scoperta e lasciai il profilattico lì dove l’avevo trovato. 

Ma siccome mi ero scocciato e volevo andare a dormire (la mattina mi sveglio sempre presto) strangolai la donna e mi avviai, a piedi, verso casa, non senza preoccuparmi prima che il ragazzo fosse morto.

L’esperienza di quella serata mi aveva soddisfatto, lasciandomi un piacevole senso di leggerezza. In fondo, avevo ammazzato una bella coppietta, e io sono sempre stato un tipo romantico.

Ecco perché praticai quel tipo di omicidi per tre mesi, uccidendo nelle zone di collina intorno alla città. 

Se non vi rubo tempo e ne avete piacere, vi racconto di qualche altro omicidio da me compiuto in quel periodo della mia vita.

Posso raccontarvi, ad esempio,  di una sera di marzo in cui portai nella mia macchina due colleghe della casa editrice, Marika e Roberta. Marika aveva appena preso la patente e chiedeva di far pratica con qualcuno di più esperto. Mi proposi subito io, perché Marika mi eccitava molto e volevo approfittare di quella lezione per stuprarla. Si aggiunse però anche la nostra amica Roberta, forse perché Marika aveva capito che non sarebbe stato prudente venire in macchina sola con me. Per me non fu un problema, anzi già mi pregustavo una bella serata.

Così prendemmo la mia macchina e portai le ragazze sulle colline, lì dove non passavano molte macchine, eccetto la lunga fila di auto parcheggiate con giovani amanti a coccolarsi. 

Marika si mise alla guida, io le ero affianco e Roberta stava dietro il sedile del guidatore, e guidò, a dire il vero molto bene, per un paio di chilometri. Le feci i complimenti carezzandole la guancia. Lei divenne rossa in viso e disse che per quel giorno sarebbe bastato. Allora ritornai io alla guida, ma invece di far ritorno a F* mi inoltrai in aperta campagna, lì dove non c’erano le coppiette e nemmeno l’illuminazione stradale. Sentivo vicino a me Marika e Roberta irrigidirsi. Mi dissero di far ritorno a casa, per favore, perché i loro fidanzati li stavano aspettando e sarebbero venuti a cercarle. Ma io sapevo che non erano fidanzate e che nessuno si sarebbe mai preoccupato di dove fossero. Per qualche motivo, le due ragazze erano considerate, dai nostri colleghi, come delle cagne in calore e nessuno dimostravo rispetto per loro. Io non le consideravo tali, in realtà non capivo perché avessero quella nomea, forse perché molti dei colleghi maschi ci avevano provato e loro avevano sempre rifiutato. Insomma, i soliti atteggiamenti miseri dei gruppi sociali umani.

Torniamo alla mia storiella. Aprii la lucina dell’auto e mostrai a Marika il mio cazzo eretto che nel frattempo avevo tolto dalle mutande. Marika stava quasi per piangere, ma inaspettatamente mi venne in aiuto Roberta che le disse, sù dai fagli un pompino così prima finiamo prima ce ne andiamo. Marika cominciò a lacrimare ma diede retta all’amica e me lo prese in bocca. Era bravissima, la sua lingua mi solleticava con soavità l’asta rigida. Mentre mi praticava il pompino, allungai il braccio verso il sedile posteriore, dove c’era Roberta che si era posta in mezzo al sedile e, sbottonatasi i pantaloni, mi facilitò l’entrata delle dita nella sua fica bagnata. 

Intanto, dopo i primi momenti di incertezza, le due ragazze presero gusto al gioco, riuscendo, in un gioco di incastri, a farmi praticare il pompino da entrambe e poi, con pazienza, a riuscire a scoparle entrambe, anche se la combinazione che più mi piacque fu quella in cui Marika mi succhiava il cazzo mentre Roberta, messasi a quattro zampe sul sedile posteriore, mi porgeva il suo culo ampio nel quale infilavo due, tre dita. Fu quella scena che mi procurò l’orgasmo così intenso che, per reazione, provocò il delirio omicida, dandomi la forza di strozzare con la mano sinistra la gola di Marika, dalla cui bocca ancora colava il mio sperma. Roberta ebbe l’orgasmo e quando si girò vide la sua amica con la testa poggiata sul finestrino, gli occhi strabuzzati e la lingua penzoloni. La scena mi eccitò terribilmente. Roberta scattò fuori dall’auto ma io ero più veloce e, uscito anche io dall’auto la presi da dietro e la sbattei sul cofano della macchina a pancia in giù. In questo modo riuscii a incularla mentre la strozzavo con entrambe le mani. Il suo sfintere, per la situazione, si contraeva con violenza, regalandomi, probabilmente, il più bell’orgasmo anale della mia vita.

Messo a dura prova da quei due orgasmi, stetti in attesa per qualche minuto al fresco della collina, poi presi i due cadaveri e li abbandonai nella boscaglia ai bordi della strada. Quindi, ritornai tranquillo e soddisfatto a casa.

Ricordo ancora un altro gradevole duplice omicidio.

Nelle mie camminate in collina, mi affiancai a un paio di voyeur che operavano in quelle zone, spiando le giovani coppiette appartate. I vouyeur erano dei maschi sulla cinquantina, ben attrezzati, con binocoli per la vista notturna e microfoni direzionali. Si erano nascosti tra la vegetazione, perfettamente invisibili a chiunque si fermasse sul ciglio della strada. Insomma, ci mettemmo, con pazienza, ad aspettare una coppia che arrivò come previsto. Erano molto giovani, sicuramente sui vent’anni, almeno lui; lei pareva avere qualcosa in meno. Non ci misero molto a spogliarsi e toccarsi mentre si baciavano furiosamente. I guardoni si erano già eccitati e qualcuno cominciava a masturbarsi. Uno di loro mi chiese gentilmente se poteva farmi una sega, io lo ringraziai ma rifiutai perché mi venne in mente un’altra idea. 

Agii subito. Uscii dalla vegetazione e mi diressi verso l’auto della coppia. I vetri degli sportelli erano aperti quanto bastava, così non ebbi bisogno di spaccarli, invece aprii la portiera dalla parte della ragazza e mi intrufolai nella macchina con uno scatto imprevedibile, tanto che all’inizio la coppia non aveva nemmeno capito cosa stesse succedendo. Lei, la ragazzina, era davvero bella, un gioiellino. Le tappai la bocca mentre, col coltello che avevo nell’altra mano, infilzai il ragazzo con una decina di colpi veloci e ben assestati alla gola. La sua testa ricadde sul volante e, sempre riuscendo a tenere la bocca tappata della ragazza, che non si muoveva per il terrore, feci scivolare il ragazzo fuori dall’auto, così presi il suo posto. Poi dissi alla ragazzina di guardare fuori dal suo finestrino, verso la vegetazione buia e di fare ciao ciao con la mano. Lei, come un’automa, mi obbedì. Il mio era un saluto ai guardoni che presero coraggio e si avvicinarono alla macchina. Aprii la portiera della macchina e gli dissi che potevano toccare la ragazza. Come demoni affamati, se la tirarono appresso e la spogliarono, per terra, toccandola e infilandole le mani dappertutto. Alcuni di loro si masturbavano, altri sbavavano continuando a utilizzare il binocolo. La ragazzina piangeva sommessamente, tremava di terrore, tanto che cominciò a pisciarsi addosso e io ne approfittai per serrare le labbra sulla sua vagina e abbeverarmi della sua urina. Poi la girai e, facendole inarcare la schiena, misi bene in evidenza il suo deretano, aprendo le natiche per mostrare il suo sfintere anale, buio e non più segreto. Uno dei guardoni ne approfittò per infilarci dentro una torcia, un altro, preso coraggio, le infilò un tralcio di vite nella vagina. Quella doppia penetrazione ci eccitò molto e, messici in cerchio, ci masturbammo e venimmo su di lei. Spossati dall’eiaculazione, mi chinai a tagliare la gola alla ragazza che aveva comunque perso i sensi, quindi non la feci soffrire. Allora ci dileguammo dalla zona non prima di esserci salutati con cordialità e avermi ringraziato per lo spettacolo che avevo contribuito a regalargli. Alcuni mi lasciarono il loro numero di telefono, altri mi invitarono a pranzo o a cena da loro. Insomma, era nata una bella amicizia.

Il cadavere della ragazza rimase per terra, non lo toccò più nessuno e fu in quella posizione che venne trovata il giorno dopo dalla polizia. 

Poi successe appunto che dei poliziotti vennero a farmi delle domande perché abitavo proprio in prossimità del primo omicidio e, per evitare seccature, mi licenziai e tornai nella mia città di origine, C*, dove avevo intenzione di aprire la mia casa editrice e, per certi versi, ricominciare una nuova vita.

Ma prima di lasciare il lavoro in quella città, fui invitato al Salone del Libro di Torino, dove nel pieno della giornata più affollata, approfittai di uno dei tanti momenti di confusione per accoltellare, sorprendendolo in uno dei bagni, il noto filosofo e psicanalista M*R*, poiché lo trovavo spocchioso e ignorante e perché pensavo fosse  ingiustificatamente apprezzato dalla critica e dal pubblico. 

L’anno dopo, il Salone del Libro gli dedicò una sala conferenze e un premio. Quindi penso di avergli fatto pure un grosso favore.

Purtroppo non ricordo se all’epoca ero già sposato o fidanzato, né ricordo alcunché  della vita dei miei genitori e dei miei fratelli o sorelle. 

(c) 2022 Giovanni Canadè

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