Un tempo, in questo fosso umidiccio, tradii
me stessa con poca pietà. Mi lasciai indizi
prima di morire, preservando vie di fuga
e ora qui riposa e pulsa insieme alla mia colpa.
D’improvviso ora ricordo, sono già stata qui,
e in un impeto di adrenalina scelgo di vivere.
Scavo gallerie per raggiungere ogni luogo,
come un verme, accorciando le distanze,
escoriando vie d’uscita e scorciatoie improvvisate.
Senza più speranze mi nascondo stanca
dietro le mie retine. Guardo i miei occhi,
mi appaiono come quelli di Dio e come quelli
di mio padre che guardano morire mia madre.
Quando di lei quello sinistro scivolò verso l’esterno
mi domandai dove stesse guardando.
Ho creduto, forse ingenuamente, mi indicasse
quella strada che non posso concepire.
Ho capito solo adesso che me ne andai vigliacca
mentre guardava me da una prospettiva occulta.
È da quel punto preciso, che alla fine poi,
mi piansi. Fuggendo da me stessa,
trasportata da una lacrima. Serpeggiando
tra i solchi del mio viso, ho guardato
il mondo attorno da una visione acquerellata
che ancora mi commuove. Mi assopii esausta,
asciugandomi al sole, pronta per il prossimo risveglio.
Il colpo violento dello schiaffo successivo.