Kundera (decomposizione di una rima) | Giovanni Costabile
Balsami di luce intagliano Le intercapedini di intarsi, E abbagliano Le moltitudini di sparsi Sinonimi di omonimi, O congiunti, Le brillanti arsi di eponimi Disgiunti,
Balsami di luce intagliano Le intercapedini di intarsi, E abbagliano Le moltitudini di sparsi Sinonimi di omonimi, O congiunti, Le brillanti arsi di eponimi Disgiunti,
sabato ho colto un crepitio in me un tonfo simile a una digressione di sospiri domenica ho ignorato il suo lievitare esponendo i miei sentimenti a una minuta pioggia di silenzi
Cos’è un buon libro? C’è chi sostiene sia un libro che vende molto, oppure chi pensa che sia uno di quei libri che restano per sempre. Magari un buon libro potrebbe essere un libro che piace un po’ a tutti, o uno che non è né troppo lungo, né eccessivamente corto (per la gioia dei ‘lettori pigri’). Paul Sweeney sosteneva che “capisci di aver letto un buon libro quando giri …
Utilizzare il tempo in tutte le sue forme. I minuti, frammenti di vita. Le ore, laghi tenui e discreti. I secondi, gocce di sudore e di gioia. Forme varie in evoluzione Cosce lunghe e slanciate,
Artefice, in cui mi alzo dal rogo d’incurabile mentre per nessuna rovina a cui il corpo permane, in quel vasto pensiero ritrovai flabelli di piume. Nell’abborracciata antiporta degli occhi lungo semplici stelle che irradiano come ruscelli, si addensano passi incantati in grembi di lune feconde.
Ripetuta rimbalzo sulla leggerezza del primo nostro rendez vous di cui serbo sempre lo stupore.
Starò qui a guardare, sospeso, il letto del fiume vacante aspettando che il violino della montuosa liuteria scacci l’angoscioso silenzio.
Confondere gli opali che m’offre la tua mano menzognera e pietosa con gli astri che, tra echi di cosmici fragori, dentro me la genesi celebrano di sacre sinfonie spazio-temporali più non mi è dato:
Insegnami a riconoscere l’esultanza delle alte sfere non più soltanto tra i recessi dei miei arditi slanci di pensiero, ma tra il fango, la carne, il silenzio, come pure dentro ai dettami del mio
Osservavo le articolazioni del mio braccio, il naturale intrecciarsi di muscoli e tendini che s’inerpicava dal gomito fino al polso per poi riscendere lungo il palmo, prima, e le falangi, poi, mentre una goccia accompagnava il mio sguardo correndo lungo la cavernosa forma della mia mano fino all’estrema punta dell’indice per, infine, staccarsi, cadere giù, in un interminabile vuoto temporale, e collidere con la superficie dell’acqua, oramai stagnante, della vasca …